A Gloria del Gran Maestro dell’Universo e del Nostro Protettore San Teobaldo

Adolfo Omodeo

L'ETA'DEL RISORGIMENTO ITALIANO

Ristampa della IV Edizione - Napoli, Vivarium, MCMXCVI

- DAL 1820 AL 1830 -
4. I PROCESSI DEL '21-22

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I tentativi rivoluzionari non giunsero ad esplodere nel Lombardo-Veneto per il più saldo e vigile organismo statale dell'Austria. Furono soffocati in germe con una serie di duri processi che colpirono i capi del liberalismo e del moto dell'indipendenza.
Già prima dei moti del '20-21 erano venute nelle mani della polizia le fila d'una vendita Carbonara che aveva il suo centro a Fratta Polesine e i suoi capi nell'Oroboni ferrarese e nel giudice Felice Foresti. Essa si collegava alla carboneria delle legazioni. Il processo fu affidato al giudice Salvotti, trentino ex massone, che ebbe facile successo sul sistema difensivo degli imputati. Presi nelle reti del processo inquisitorio, i disgraziati settarii furono fatalmente portati alla confessione e a compromettere sé ed altri. Privi d'assistenza legale, torturati da interrogatori implacabili che duravano giorni continui, finirono col tradirsi anche là dove non li aveva traditi un complice debole o corrotto dalla speranza di condono. Un'abilità infernale, pur con il massimo rispetto della procedura austriaca, segnalò il Salvotti all'imperatore Francesco I che seguiva minutamente questi processi.
La condanna di morte, commutata in quella di carcere duro a tempo, colpì otto dei maggiori accusati di Fratta : la durezza della pena fu determinata dai moti di Napoli e Piemonte, che fecero parere più grave il reato dei carbonari di Fratta.
Durava ancora questo processo, quando un'imprudente lettera del forlivese Pietro Maroncelli al proprio fratello, caduta col messaggero nelle mani della polizia, dava le tracce del tentativo d'organizzazione d'una vendita a Milano.
Si parlava infatti d'un'industria da impiantare a cui avrebbero contribuito il Pellico, il conte Porro e molti altri personaggi tutt'altro che in odore di santità.
Il Maroncelli e il Pellico furono arrestati. Il Maroncelli si addossò ogni responsabilità e il Pellico stava per essere prosciolto, quando un ordine imperiale deferì alla commissione di Venezia, che aveva istruito il processo di Fratta, il processo milanese. Il Salvotti, esperto nei segreti carbonari, non allentò la preda.
Invano il Maroncelli cercò di stornare la tempesta, raffigurando il tentativo quale filiazione della carboneria romagnola e raffigurando la carboneria romagnola come intesa a chiamar gli austriaci nelle legazioni. Non raggiunse altro risultato che di compromettere i carbonari di Roma-gna di fronte al governo pontificio, a cui l'Austria comunicò le rivelazioni del Maroncelli. I discorsi imprudenti aggravarono la posizione di tutti.
A un certo punto anche il Pellico s'accasciò e si confessò reo per non subir più oltre il martirio degl'interrogatorii e del dover mentire. Indizi ricavati dalle accuse di minori imputati e da rapporti di polizia, consentirono di ricostruire l'azione Carbonara: non solo coloro che erano stati iniziati alla sètta, ma anche coloro che, sollecitati, avevano ricusato. Costoro erano rei di non aver denunziato la trama, come prescriveva un editto imperiale del 1820. Il conte Porro potè mettersi in salvo con la fuga : molti altri furono arrestati: fra essi il Romagnosi, l'economista Melchiorre Gioia e il conte Arrivabene, capo dei liberali di Mantova. Dopo varie vicende, la sentenza definitiva fu formulata nel dicembre 1821. Solo il Romagnosi, il Gioia e l'Arrivabene furono prosciolti ; il Pellico, il Maroncelli e l'altro imputato Canova furono condannati a morte, due imputati minori a quindici anni. Però « clementissimamente » l'imperatore commutò la pena di morte ai principali imputati nel carcere duro a vita, e ridusse la pena dei minori imputati (febbr. 1822).
Un terzo processo s'iniziò nel '21, dopo il fallimento della rivoluzione piemontese.
Per sospetti di relazioni con quel movimento furono arrestati Gaetano Castillia, il marchese Giorgio Pallavicino-Trivulzio, il conte Gonfalonieri. Chiamato a Milano, il Salvotti si sprofondò nell'inquisizione con la sua implacabile energia. Il processo assunse proporzioni grandiose. Si scoprirono le diramazioni del federalismo lombardo a Brescia, a Mantova e in altre città lombarde. Parecchi accusati resistettero eroicamente, altri soggiacquero onorevolmente confessando solo la propria reità; altri per fiacchezza o viltà, e fra questi il Borsieri, l'Arese, il conte Ducco di Brescia. Accanita fu la lotta per raggiungere la prova della colpevolezza del Gonfalonieri, che si difese con suprema energia. Finalmente la trama tra federati piemontesi e lombardi apparve chiara, e la rete internazionale deìVadelfia di Ginevra fu meglio documentata con l'arresto e le confessioni di un suo emissario segreto che inconsideratamente si venne a gettare nelle mani della polizia austriaca : l'Andryane. La sentenza condannò a morte in contumacia nove dei profughi, fra cui il Pecchio, l'Arrivabene risultato nuovamente compromesso, l'Arconati-Visconti, l'Ugoni : colpì con leggere pene e prosciolse vari delatori, e quei pochi che avevano resistito senza confessare.
Il Gonfalonieri, l'Andryane, il Pallavicino, Gaetano Castillia, l'Arese, il Borsieri, il Tonello furono condannati a morte. Per i minori compiici il tribunale chiese la commutazione della pena di morte, non però per il Gonfalonieri e l'Andryane.
Allora la nobiltà lombarda, l'arcivescovo di Milano, i parenti del Gonfalonieri, e sopra tutti l'eroica e devota moglie Teresa Gonfalonieri Casati, lottarono disperatamente per arrestare la sentenza fatale. Il gelido imperatore resistette a tutte le suppliche disperate, e solo alla fine, per i suoi calcoli di politica lombarda, credette di commutare la pena capitale.
Le tetre prigioni dello Spielberg e di Lubiana si dischiusero al lungo martirio del fiore del liberalismo lombardo. Dall'alto del trono l'imperatore regolava minutamente, pedantescamente, il loro regime carcerario soprattutto inteso ad estorcere alle vittime, principalmente al Gonfalonieri, nuove rivelazioni sul movimento liberale italiano. A tale spionaggio era adibito anche il cappellano confessore. Non potendo i prigionieri essere impiegati a lavori pesanti, l'imperatore volle che fossero costretti a fare la calza, con infinito loro avvilimento. Solo dopo vari anni il regime carcerario fu mitigato, e solo nel 1830 e nel '36 le grazie del paterno sovrano liberarono da quella tomba di vivi i superstiti di quei processi.
Il martirio affinò molte di quelle anime. Una reviviscenza della religione, una sommessa rassegnazione mitissima, un oblìo della politica coi suoi odi e le sue passioni, e insieme una non intenzionale glorificazione della causa per cui quelle anime nobilitate avevan sofferto : questa gloria del martirio fu data dallo Spielberg alla causa italiana. Essa doveva rifulgere con la pubblicazione delle Mie Prigioni del Pellico. Dalla catastrofe dei tentativi politici sorgeva l'edificazione morale dell'italianità. Anche negli esuli la passione patria diveniva sempre più intima alla loro travagliata vita. Dal cuore d'uno di quegli esuli, il Berchet, pn rompevano i canti che, con grandiosa semplicità linear» con tono popolaresco, dovevano accender la gioventù. Qualche cosa dicevano anche alla moltitudine inconscia quei giovani delle migliori famiglie, che, dimenticando agi e tranquillità, sui palchi di Venezia e di Milano sentivano pronunziarsi la pena di morte e solo per grazia del untissimo sovrano partivano per gli ergastoli.
Questa formazione della coscienza nazionale era il risultato positivo dei moti del '20 e del '21. L'implacabile reazione vi contribuì non poco.


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