A Gloria del Gran Maestro dell’Universo e del Nostro Protettore San Teobaldo

ORAZIO DE ATTELLIS
Marchese di Sant'Angelo

 

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Per Orazio de Attelis, marchese di Santangelo, l'enorme polverone alzato dalla sua presenza negli Stati era certamente cosa normale, in linea con tutta la sua dirittura morale e il suo passato personale. Gli anni che vanno dal 1824 al 1844 accompagnarono però uno degli italiani più controversi tra quelli giunti in terra americana, con un forte carico di polemiche.
Polemiche che non avrebbero mai toccato la sensibilità del de Attelis. In fondo, lui aveva svolto soltanto con coscienza la sua missione di giornalista e direttore della carta stampata, lasciando in eredità un foglio settimanale – "El Correo Atlantico" - che si era guadagnato la fama cronistica sul duro campo di New Orleans.

L'editore era nato in una delle zone più controllate del derelitto regno borbonico, nel 1774: Sant'Angelo di Limosano, era infatti situata in quegli Abruzzi che rappresentavano la linea di confine settentrionale del regno. Secondogenito di Dorotea D'Auria e del marchese Francesco, il ragazzo iniziò subito un duro apprendistato alla vita a causa dell'avversione affettiva del padre. Dispotico e tiranno in famiglia il padre di Orazio approfittò della prima occasione per spedire l'inquieto figlio nel collegio dei nobili di Napoli.

Ribelle a ogni disciplina il giovane molisano si dimostrò subito all'altezza della sua futura fama e a quindici anni interruppe gli studi per arruolarsi, insieme al fratello maggiore, in Spagna nelle truppe dei reggimenti "Toledo" e "Nàpoles". Il molisano ebbe il suo battesimo del fuoco nelle battaglie contro i Marocchini a Ceuta, ma tornato a Napoli nel 1792, si arruolò ancora volontario nel reggimento "Re".

Orazio, per volere del padre, proseguì anche gli studi forensi presso Leonardo Palomba, un noto avvocato molisano, nella cui casa conobbe i primi rudimenti delle idee nazionalista. La coscienza rivoluzionaria inasprì ancora di più i rapporti con il padre: Orazio decise di lasciare temporaneamente Napoli iniziando un suo personale percorso che lo avrebbe portato negli angoli più disparati del mondo.

Il molisano si spostò dapprima per vari stati italiani e nel 1794 giunse a Firenze, entrando in soli tre giorni ai vertici di una loggia massonica.

Tornato in patria militò nel reggimento di cavalleria "Napoli" combattendo al fianco degli austriaci ma i continui scontri con l'armata rivoluzionaria francese indussero il soldato borbonico a aderire con ancora più entusiasmo alla causa repubblicana.

Abbandonata la divisa, egli si recò in Francia e qui conobbe Barras, di cui fu per sette mesi segretario nella Deputazione lombarda presso il Direttorio.

Rientrato in Italia si stabilì a Bologna e si arruolò nei "Cacciatori della Guardia Nazionale" fondando anche un circolo costituzionale, di cui divenne principale animatore. Alla guida del circolo l'indole ribelle del giovane marchese di Santangelo si manifestò in tutta la sua pienezza, ma il fallito tentativo di democratizzare il Granducato di Toscana e la sfortunata congiura gli fecero assaporare le fredde stanze del carcere.

Condannato prima alla pena di morte e poi al carcere a vita, Orazio scontò soltanto un mese nel penitenziario di Portoferraio. Quando le truppe francesi occuparono la Toscana egli fu infatti tra i promotori della insurrezione e venne acclamato eroe all'ingreso a Firenze.

Nominato dal governo provvisorio capitano del "Battaglione Toscano Rivoluzionario" de Attelis seguì le sorti della spedizione francese e dovette riparare in Francia. La vita avventurosa del giovane nobile molisano continuò in un alternarsi di vittorie e sconfitte politiche e militari.

Tornato in Italia al seguito della legione italiana, partecipò alla battaglia di Marengo e passò nel piccolo esercito toscano. Tornò però, dopo diversi viaggi in altre città italiane, in Francia ottenendone la cittadinanza.

Tutto questo non contribuì a calmare i bollenti spiriti di un uomo pieno del sacro fervore repubblicano. L'unità dell'Italia infatti divenne il pane quotidiano per il marchese de Attelis e lui, a sua volta, divenne il volto noto delle polizie restauratrici italiane. Arrestato a Napoli per un tentativo di congiura e liberato grazie alla buona parola dell'ambasciatore francese, Orazio attirò su di sé anche le ire di quest'ultimo paese per le sue idee dichiaratamente nazionaliste. Altro carcere quindi a Firenze e di nuovo la libertà dopo tre mesi di prigione, con l'invito perentorio ad abbandonare per sempre la Toscana.

Trasferitosi a Milano, egli tentò di pubblicare una "Gazzetta economico popolare del Mondo", e fallito questo tentativo ritornò a vestire i panni militari come volontario nella "Guardia del Governo".

Fece quindi ritorno a Napoli, e nominato ufficiale di gendarmeria dal nuovo governo della città, fu spedito a combattere il brigantaggio in Abruzzo.

Divenne capitano del Reggimento delle Guardie d'onore e con questo grado scortò Napoleone in un tratto della ritirata di Russia.

Nel militare molisano intanto maturavano nuove idee politiche e una decisa avversione al regime di Murat. Per tale motivo de Attelis fu allontanato ancora una volta da Napoli ma rientrandovi solo al ritorno dei Borboni. Per pochi anni egli si dedicò all'avvocatura (divenne avvocato dei poveri) ma presto la fiamma nazionalistica riprese corpo trascinando il marchese sul libro nero dei Borboni.

Braccato dalla polizia anche in terra spagnola - dove aveva trovato ennesimo rifugio - Orazio decise di fare il grande salto verso gli Stati Uniti.
"Il solo soggiorno convenevole all'uomo pensante, onesto e libero." Questo era il pensiero dell'ormai maturo avvocato molisano, all'approdo nel porto di New York, nel 1824.

Stretta amicizia con Lorenzo Da Ponte e con Giuseppe Bonaparte egli aprì una scuola privata che durò un solo anno.

Nel 1825 de Attelis si spostò in Messico e nei giorni del congresso di Panama, consigliato dal presidente del Senato, iniziò a scrivere un volume nelle quali esponeva le sue idee politiche.

Il soggiorno messicano durò due anni e nel 1827 l'ex rivoluzionario molisano fece ritorno a New York per prendere il posto, l'anno seguente, dell'amico Lorenzo da Ponte nell'insegnamento della letteratura italiana e spagnola al Columbia College.

Nel 1832 varcò di nuovo il confine con il Messico, rispondendo a un'offerta dell'amico generale de Santa Anna, futuro carnefice nella battaglia di Alamo: nel paese centroamericano egli rimase fino al 1836 per dirigere un liceo nazionale, venendone espulso proprio ancora una volta per le sue idee politiche contrarie a quelle dell'ex amico messicano divenuto nel frattempo dittatore.

Nuova città d'adozione di Orazio de Attelis divenne allora la popolosa New Orleans. L'ormai attempato avvocato si adoperò con tutto il suo fervore per la causa dell'indipendenza texana e nello stesso tempo si prodigò nel sostegno agli italiani residenti negli Stati Uniti.

Il marchese divenne in questi anni amico dell'eroe texano Sam Houston, condividendone in pieno lo spirito indipendentista e propagandandone le idee sul suo foglio settimanale cui diede il nome di "Correo Atlantico". Personalità sempre pronta a scendere in polemica, de Attelis non si tirò indietro neanche nella battaglia politica del 1844. Egli si schierò anima e corpo a favore del candidato Henry Clay e tartassò duramente il candidato avversario James K. Polk. La vena polemica non si esaurì neanche dopo la vittoria presidenziale di quest'ultimo, liquidato dall'editore come "ambizioso demagogo".

All'orizzonte si profilava intanto lo spettro della secessione confederata: fortemente allergico alle idee schiaviste dei grandi proprietari terrieri sudisti, l'attempato marchese e frustrato nelle sue idee repubblicane, mal visto dalla borghesia sudista e dallo stesso presidente dell'Unione, l'editore decise infine di abbandonare definitivamente la scena pubblica per dedicarsi alla sua autobiografia.

La calma interiore durò però soltanto lo spazio di due anni. Notizie provenienti dall'Italia ridestarono in lui l'antica passione politica e il maturo uomo di pensiero s'imbarcò per l'Europa nel 1847 per chiudervi gli ultimi anni della sua vita.

Nell'anno dei nazionalismi europei de Attelis si mise a disposizione del governo costituzionale di Ferdinando II e poi, deluso anche da questa esperienza napoletana, del governo sabaudo.

Arrivò dopo varie tappe a Roma per conoscere Mazzini durante i pochi mesi della Repubblica romana ma la sua presenza era ormai ingombrante. Estraneo ai nuovi pensieri repubblicani, bollato come un giacobino troppo estremista, e incapace di confrontarsi con le nuove realtà sociali e politiche del Bel Paese, de Attelis divenne un peso morto per le nuove leve del nazionalismo italiano e come tale accantonato a un angolo della scena politica. Fece però in tempo a fare il suo ultimo salto di esule, fuggendo da Roma assediata dai Francesi per riparare in quella Civitavecchia che sarebbe stata la sua ultima dimora terrena.

Il polemico marchese morì il 10 gennaio del 1850 mettendo fine a un esperienza umana tutta dedita ai sogni di democrazia.


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